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14 Novembre 2025
12:00

Cambiamento climatico e disastri naturali: come proteggere le città

Spesso i disastri naturali lasciano dietro di sé danni enormi: vite umane perse, miliardi di euro di costi economici, comunità intere che devono ricominciare da capo. Eppure, come dimostrano gli esempi internazionali, il rischio non si elimina solo reagendo all’emergenza, ma preparando soprattutto i territori, rendendoli più preparati e resilienti.

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Cambiamento climatico e disastri naturali: come proteggere le città
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Negli ultimi anni, le città di tutto il mondo stanno affrontando un cambiamento sempre più evidente: piogge improvvise che diventano alluvioni, estati roventi, frane e incendi sempre più frequenti. Fenomeni che un tempo sembravano eccezionali oggi fanno parte della normalità e mettono a dura prova territori e comunità. Le cause sono abbastanza note: il clima che cambia, l’espansione urbana disordinata, e l’uso eccessivo del suolo che riduce la capacità della natura di assorbire e regolare l’acqua. Il risultato di tutto ciò è un pianeta più fragile, in cui ogni evento meteorologico estremo rischia di trasformarsi in una catastrofe.

Ma i disastri naturali non sono un destino ineluttabile. Con un po’ di pianificazione, innovazione e rispetto per l’ambiente, infatti, è possibile prevenire e ridurre i danni. In diverse parti del mondo ci sono già diversi esperimenti e progetti pionieristici che stanno dimostrando che un modo più intelligente di convivere con la natura non solo è possibile, ma necessario.

Come prevenire i disastri naturali: i progetti mondiali

Uno degli esempi più interessanti di progetti pensati per prevenire e ridurre i danni arriva dalla Cina, dove esistono le sponge cities, ovvero le “città spugna”. Per contrastare gli allagamenti urbani causati dalle piogge torrenziali, si trasformano interi quartieri con soluzioni verdi: pavimentazioni permeabili, parchi che raccolgono l’acqua piovana, laghetti artificiali e tetti verdi. Così l’acqua viene assorbita e rilasciata lentamente, riducendo il rischio di inondazioni e migliorando allo stesso tempo la qualità della vita urbana.

Nel Regno Unito, a Pickering, nel nord dello Yorkshire, hanno scelto un approccio diverso ma altrettanto innovativo, con il progetto Slowing the Flow. Dopo anni di inondazioni ricorrenti, la comunità ha investito in interventi naturali: migliaia di alberi piantati sulle colline, torbiere ripristinate, piccoli sbarramenti nei torrenti che trattengono l’acqua invece di lasciarla scendere di colpo a valle. Non è stata costruita una grande diga, ma una serie di mini dighe integrate al paesaggio quasi invisibili.

Anche in Myanmar, paese colpito spesso da frane e alluvioni, la prevenzione è diventata sempre più importante, e sono stati sviluppati sistemi di allerta precoce che combinano sensori sul territorio e informazioni raccolte dagli stessi abitanti. In questo modo quando il terreno dà i primi segnali di instabilità, le comunità possono ricevere un avviso tempestivo ed evacuare in tempo. Una tecnologia semplice ed efficace, in grado di salvare vite.

Che rischi corre l’Italia

E in Italia? Purtroppo il nostro Paese conosce bene i rischi legati al dissesto idrogeologico. Frane, alluvioni, erosione costiera: quasi ogni anno assistiamo a tragedie che colpiscono comunità grandi e piccole. I dati dell’ISPRA parlano chiaro: il 94% dei comuni italiani è esposto ad almeno uno di questi rischi. In totale, sono stati censiti oltre 636.000 fenomeni franosi e quasi 6 milioni di persone vivono in aree a rischio. Nel 2024, la superficie nazionale classificata come “pericolosa per frane” è aumentata del 15%, arrivando a oltre 69.000 chilometri quadrati: quasi un quarto dell’intero territorio. Numeri che rendono evidente la fragilità del nostro Paese.

Le cause sono in parte naturali, visto che viviamo in un territorio montuoso, con versanti ripidi e terreni spesso instabili, ma gran parte della responsabilità è nostra: infatti, anche se il cambiamento climatico intensifica l’intensità e la frequenza di forti piogge e di eventi meteorologici estremi, a peggiorare la situazione sono l’urbanizzazione disordinata, il consumo di suolo, la costruzione in aree a rischio e la mancanza di manutenzione del territorio.

Che cos’è il progetto Return

Anche in Italia si stanno sviluppando progetti che affrontano in modo innovativo i rischi naturali e ambientali. Tra questi c’è Return, un’iniziativa finanziata dal Pnrr che punta a rafforzare il monitoraggio, la previsione e la gestione integrata dei rischi su scala locale e nazionale. Questo progetto adotta un “approccio multirischio”, perché non considera solamente i singoli eventi naturali – come alluvioni, frane o terremoti – o quelli antropici – come inquinamento e incidenti industriali – ma anche le loro interazioni e i possibili effetti a cascata come ad esempio frane o tsunami innescati dai terremoti.

Per fare tutto questo, il progetto si serve di un ecosistema digitale che riproduce contesti reali in ambienti virtuali, permettendo di simulare i vari ipotetici scenari e pianificare strategie di mitigazione. In questo ecosistema ci sono due territori virtuali, Returnland e Returnville, che servono a capire meglio quali aree sono più vulnerabili e a testare gli interventi sul territorio. E non solo: questo progetto ci dice che fare prevenzione è possibile: non servono solo muri e barriere, ma collaborazione, scienza e innovazione. Ed è così che l’Italia può diventare un Paese capace di proteggere la propria bellezza.

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